Il mio migliore amico, seduto in ultimo banco mi salutò con un cenno della mano.

Era la persona più simpatica dell’universo. Ci conoscevamo come se fossimo fratelli. Lui capiva al volo cosa volevo dire soltanto con uno sguardo.

Era un ragazzo alto, altissimo e robusto, molto robusto. Aveva capelli color cioccolato, disordinati, ma perfetti nel loro disordine. Gli occhi azzurri, penetranti ed intelligenti. Portava dei grossi occhiali neri che ogni tanto gli scivolavano sul naso.

E’ sempre stato un ragazzo mite. Non cercava mai la rissa e a scuola era incredibilmente il più bravo della classe, con le sue brillanti intuizioni. Alla fine di questo mio fantasticare suonò la campanella che mi riportò alla realtà, anche se i miei pensieri quel giorno non volevano essere tenuti a bada.

La professoressa entrò in tutta fretta e si mise a parlare.

Quel ragazzo, seduto in ultima fila non mostrava mai le paure,i timori o i problemi che aveva con le persone. Si mostrava con una maschera, il proprio sorriso. Ogni volta che era triste si nascondeva scherzando e non mostrando i propri sentimenti. Ovviamente mi parlava dei problemi con la famiglia, con gli amici oppure anche con me. Fra me e lui non c’erano mai stati segreti. Non avevamo paura che uno dicesse il segreto dell’altra perché la nostra amicizia era troppo preziosa.

Noah non era italiano, era canadese, questo spiegava il perché alle Olimpiadi tifasse la bandiera con la foglia d’acero.

Fra me e lui non c’erano mai stati litigi a parte una volta in cui si era offeso per una parola di troppo che avevo detto: perché il suo più grande difetto era proprio questo, l’essere permaloso. A parte questo con lui si poteva scherzare, confidarsi e aver conforto, perché ogni volta che avevo bisogno di un abbraccio lui me lo dava senza paura, senza paura che lo prendessero in giro.

 

Maria Chiara Baruffato, Classe 3^D, Scuola secondaria di I grado di Monteviale.